Campania, le attività produttive di una regione dalle troppe potenzialità inespresse

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Tradizionalmente le regioni del sud sono economicamente più arretrate rispetto a quelle del nord dello stivale: la cosiddetta questione meridionale tiene banco da decenni ed ad oggi non ha ancora trovato una sua soluzione.

Il Sud Italia si caratterizza per una disoccupazione giovanile vicina al 50 per cento e un tasso di disoccupazione generale che è più del doppio di quello del Centro-Nord.

Per di più le imprese meridionali, oltre a essere piccole, raramente si costituiscono in gruppi ed è un dato incontrovertibile che più le imprese sono isolate e piccole, meno sono produttive.

Eppure queste stesse regioni hanno potenzialità incredibili, ricchezze naturali, storiche, culturali, paesaggistiche che se valorizzate nella giusta maniera permetterebbero all’economia di decollare.

Caso emblematico è quello della Campania: l’Eurostat ha inserito questo territorio tra le 20 regioni con più disoccupati in Europa.

Questo naturalmente spinge la stessa popolazione a “scappare” letteralmente: tra il 2013 e 2016 il numero di residenti in Campania è già diminuito di oltre 101mila unità e senza significativi mutamenti di scenario, soprattutto a causa dei fenomeni di invecchiamento della struttura demografica, nel prossimo futuro si verificherà un calo consistente, segnando oltre 166mila abitanti in meno nel prossimo decennio e quasi 331mila nel decennio successivo, per una contrazione netta nel ventennio di quasi 497mila abitanti (-8,5%).

Tra 20 anni i giovani saranno il 27% in meno di quelli di oggi, gli oltre 64enni saranno il 72% in più: nel 2036 la struttura per età della popolazione avrà 47 anziani ogni 100 abitanti in età lavorativa (15-64 anni), nel 2006 il rapporto era del 23%.

All’invecchiamento della popolazione va aggiunta la “fuga” dei giovani, che non stupisce affatto se si considerano gli altri recenti dati sempre diffusi da Eurostat: le province di Napoli, Caserta, Benevento, Avellino e Salerno hanno visto aumentare il tasso di disagio dei propri ragazzi, con l’indicatore che è passato dal 49,9% del 2016 al 54,7 del 2017.

Eppure la Campania è una terra ricca di storia, di tradizioni, di potenzialità inespresse soffocate da secoli di mala gestione e delinquenza, che però potrebbe risorgere dalle proprie ceneri grazie ad una maggiore implementazione delle sue già svariate e diversificate attività produttive.

Per quanto concerne il settore primario, la Campania si colloca tra le regioni d’ Italia che maggiormente partecipano alla produzione del reddito agricolo nazionale.

La fascia pianeggiante e collinare volta al Tirreno, fertile e ben irrigata, è adibita a un’ intensa ortofrutticoltura specializzata, anche se sfavorita dall’eccessiva frammentazione dei terreni che abbassa la produttività.

Nello specifico vi è una elevata produzione di patate, melanzane, fagioli, pomodori; importante è anche la produzione di albicocche, pesche, fichi, cui si aggiungono quelle dell’ olivo e della vite.

Purtroppo in declino è la pastorizia degli ovini, ma un certo sviluppo ha invece l’ allevamento di caprini e ancora più di bufali ( quest’ ultimo nella piana del Sele ), con discreta produzione di formaggi.

Nonostante i suoi primati, l’agricoltura campana non riesce a garantire un lavoro e un reddito sufficiente agli abitanti della regione: nel settore primario trovano spesso impiego molti immigrati clandestini, spesso obbligati a lavorare “in nero” o in condizioni di sfruttamento.

La Campania è una delle regioni più industrializzate del Sud.

L’industria manifatturiera (calzature, abbigliamento, elettronica) si concentra nel triangolo Napoli-Salerno-Caserta, dove lavora quasi il 90% degli occupati nel settore.

L’attività di concia delle pelli conta un dinamico distretto a Solofra (Avellino). L’industria agroalimentare ha un ruolo di rilievo: caseifici, pastifici, aziende del «distretto del pomodoro» di Salerno, produttori di conserve vegetali e liquori.

A Napoli e provincia esistono rinomate attività artigianali, quelle dei guanti, della lavorazione del corallo, delle conchiglie e della tartaruga. Sono attivi diversi cantieri navali, stabilimenti automobilistici e raffinerie di petrolio.

Quasi tutte le maggiori fabbriche (siderurgiche, metallurgiche, meccaniche) sorte nel Napoletano negli anni Sessanta e Settanta sono però poi fallite nel corso degli anni ’90, colpa di una cattiva gestione e di una capillare infiltrazione mafiosa che ne ha minato le fondamenta.

Questa regione va comunque segnalata per il proprio dinamismo imprenditoriale: è terza in Italia per numero di PMI innovative, quinta per start up innovative, seconda per percentuale di imprese giovanili sul totale di imprese attive in regione e presenta una quota di società di capitali in linea con il dato nazionale.

Ad oggi però i settori di base poggiano ancora quasi tutti su imprese sorte con capitali pubblici o provenienti da altre regioni d’ Italia.

Il settore terziario invece si basa sulla grande diffusione delle attività turistiche che sfruttano le bellezze naturali e ambientali della costa amalfitana e delle isole del golfo di Napoli, ma anche la presenza del Vesuvio e dei Campi Flegrei.

Molto fiorente  il turismo balneare nelle tre isole del golfo di Napoli (Procida, Ischia e Capri). La costiera sorrentina, amalfitana e quella cilentana sono i luoghi di mare che registrano elevato apprezzamento da parte dei turisti, mentre molto meno apprezzato è il mare lungo la costa casertana in quanto, con il 66% di costiera inquinata, risulta essere il meno agibile d’Italia.

Alle bellezze naturali della costa si uniscono i tesori artistici di Napoli e delle zone archeologiche di Pompei (oltre 2 500 000 visitatori all’anno), Ercolano e Paestum.

Purtroppo, però, anche in questo caso a penalizzare il settore è la cattiva gestione e il degrado ambientale di molte zone: la regione non è ancora adeguatamente attrezzata per fornire servizi turistici di elevato livello, se si escludono le più famose località di antica tradizione.

La Campania potrebbe vivere persino di solo turismo e creare tantissima occupazione sia per i giovani che per i lavoratori che hanno perso il lavoro, eppure i tentativi fatti dalle amministrazioni locali ad oggi si sono rivelati insufficienti ed inadeguati.

Per fortuna qualcosa negli ultimi anni si è smosso. Tra le regioni più colpite dalla crisi – nel periodo tra il 2008 e il 2013 si sono persi 15 punti di Pil – la Campania ne ha recuperati 4 tra il 2014 e il 2016.

Il contributo principale alla ripresa è venuto dall’aumento delle esportazioni che nel 2017 hanno raggiunto il 4% rispetto al 3,8 dell’anno precedente, ma anche dal turismo: la Campania rappresenta il 5% del totale italiano, con un incremento del 5,1% pari a 18,6 milioni di presenze nel 2017 e 2,2 miliardi di euro (+18,5%) di spesa.

La strada intrapresa sembra quella giusta, quindi, ma le criticità permangono e solo lo sforzo congiunto di cittadinanza ed istituzioni riusciranno a riportare la regione a quello splendore che poteva vantare nell’Ottocento, quando aveva un’economia vivace, aperta alle iniziative industriali: non dimentichiamo, infatti, che il primo tronco ferroviario d’Italia, la Napoli-Portici, fu realizzato proprio qui nel 1839 e nei primi decenni dello stesso secolo sorsero nel napoletano grandi complessi industriali che seppero allora rivaleggiare con le industrie dell’Italia settentrionale.